Vittima del proprio successo? I miei dubbi su Sardex

Sardex, la  moneta complementare sarda, sembra avere sempre più successo. Che cos'è Sardex è  spiegato in altri luoghi, quindi uno può farsi un'idea di come funzioni questo strumento che permette di "monetizzare in beni e servizi  i crediti derivati dalle vendite".

Mi fa piacere leggere di una storia di innovazione e successo in Sardegna. Inoltre,  in una realtà come quella sarda, dove esiste una cronica mancanza di liquidità, il fatto che le aziende possano continuare a lavorare attraverso questa moneta complementare è un grosso risultato. Infine, penso sia molto positivo il tessuto di scambi che questa moneta complementare incentiva: gli scambi di natura economica sono la base da cui nascono scambi di competenze e di idee, il che potrebbe creare effetti positivi nel lungo termine (per esempio: più aziende che collaborano).

Tuttavia, non posso fare a meno di pensare che esista un rischio quando una moneta che nasce per essere complementare acquista troppi spazi. In questo articolo, per esempio, si dice che impiegati di certe aziende ricevono parte del loro stipendio in Sardex. L'articolo riferisce anche che questa decisione è stata necessaria per salvare l'azienda.

Presumibilmente questi impiegati non hanno avuto molta scelta: o accettavano di vedere parte del loro compenso in Sardex, o era la chiusura. Ma se uno può fare la spesa o andare al ristorante e pagare in Sardex dove sta il problema? Il problema sta nel fatto che, verosimilmente, sempre meno persone avranno la possibilità di risparmiare, e questo significa meno possibilità di fare investimenti per il futuro (comprare una casa, un terreno, ma anche investire in formazione personale, ecc.).

Inoltre, il fatto che impiegati vengano pagati in Sardex che non hanno valore se non scambiati nel circuito, verosimilmente induce queste persone a spendere quei crediti Sardex in beni o servizi che non avrebbero comprato in altre condizioni. Molto bello pensare che con quello stipendio in Sardex posso finalmente permettermi il lusso di una cena in ristorante, meno bello pensare che però magari non sto risparmiando per pagarmi quel corso di formazione che volevo fare, o per investire in una attività collaterale, ecc.

Lo stesso discorso potrebbe applicarsi alle aziende che lavorano nel circuito Sardex: se da complementare, la moneta Sardex diventa dominante, le aziende avranno sempre meno risparmi e liquidità per comprare nuove tecnologie, o per formarsi, ecc.


Alla fin fine, in un sistema che nasce come complementare ma che prende troppi spazi all'altro sistema (sempre più in crisi), il rischio maggiore è quello di creare un sistema economico chiuso in cui aziende e privati si scambiano servizi ma dove hanno sempre meno possibilità di interagire con altri sistemi per mancanza di credito e liquidità.

Questo è un rischio perché un sistema chiuso non ha possibilità di innovarsi tecnologicamente (a meno che il sistema non crei tutta la tecnologia di cui ha bisogno, cosa molto difficile). Questo significa che sarà un sistema inefficiente (aziende che creano prodotti o forniscono servizi costosi e antiquati, e magari venduti solo perché i privati devono in qualche modo usare i loro Sardex). Un sistema del genere diventa vulnerabile a prodotti o servizi provenienti da altri sistemi aperti che forniscono beni e prodotti innovativi, efficienti, e a costi minori.

Senza nulla togliere agli innegabili meriti di Sardex, il mio dubbio è che un sistema simile possa diventare vittima del proprio successo se prende troppo spazio al sistema alternativo che avrebbe dovuto completare, non sostituire.

"La miglior reazione è più democrazia e maggiore partecipazione politica"


Gli orribili fatti di Parigi sono difficili da interpretare sotto ogni logica.

Alcuni hanno paragonato questi attentati alle azioni delle Brigate Rosse negli anni '70 in Italia. Eppure, nonostante le similutidini, le Brigate Rosse avevano un disegno politico riconoscibile e con una logica, per quanto perversa e velleitaria. Nel caso degli attentati dei fondamentalisti a Parigi, non è invece riconoscibile un disegno politico logico.

Il paragone che secondo me sarebbe più appropriato per capire questi attentati è quello con gli attentati dell'IRA (Irish Republican Army) durante il conflitto che ha portato alla nascita dello "Stato Libero" in Irlanda tra il 1916 e il 1921.

Durante questo conflitto infatti, l'IRA spesso perpretava attentati che non avevano apparentemente una logica molto precisa: di fatto molti di questi attentati non intaccavano gli interessi militari ed economici britannici.

Tuttavia, quello che questi attentati ottenevano era scatenare una risposta spropositata e indiscriminata da parte delle truppe britanniche. Queste reazioni colpivano molti cittadini irlandesi che non erano coinvolti e, magari, neanche simpatizzanti della causa irlandese repubblicana. Trattare molti cittadini indiscriminatamente come "potenziali terroristi" e punirli per attentati che non avevano commesso o facilitato, non faceva che causare risentimento e odio verso l'apparato di forza britannico e quindi a spingere anche i cittadini neutrali verso la causa dei repubblicani.

In questo senso, la mancanza di auto-controllo e le reazioni indiscriminate  e spropositate delle forze britanniche (e la loro stupida prevedebilità), erano il miglior alleato della causa repubblicana irlandese. Uno stato che discrimina una parte dei suoi cittadini e che rinuncia ad applicare la legge, perde inevitabilmente leggittimità. 

Gli attentati di Parigi hanno una logica del genere, secondo me: quello che vogliono provocare è una reazione indiscriminata e spropositata che porti molti mussulmani in Francia e in Europa a sentirsi emarginati, bersagli del sospetto e della discriminazione, che li porti a sentirsi alienati dagli ideali civici di democrazia, rispetto per ogni idea e credo, e rispetto della legge, ideali che sono il fondamento della maggior parte dei paesi occidentali.

Per questo penso che a questi orribili fatti i paesi occidentali non debbano rispondere in modo isterico (del tipo: "siamo in guerra"), ma debbano riaffermare i principi di democrazia e rispetto della legge. La risposta migliore dovrebbe essere quella data dal governo Norvegese dopo il massacro perpretato da un estremista di destra:



" [Norway will] stand firm in defending our values, [...] an open, tolerant and inclusive society". "The Norwegian response to violence is more democracy, more openness and greater political participation."

in difesa del...capitalismo

Il capitalismo oggi non gode di buona pubblicità. Parte di questa cattiva fama è del tutto meritata.

Negli ultimi decenni si è assistito ad un accumulo di ricchezza e opportunità nelle mani  di pochi, tanto che si parla di una società ristretta e sigillata. A fronte di questo aumento di ricchezza per i pochi eletti, in Occidente si è assistito ad un lento ma inesorabile declino delle condizioni economiche e delle prospettive future di molti, tanto che alcuni hanno definito questa l'epoca delle "prospettive ridotte".

Tuttavia, leggendo diversi autori mi sono fatto l'idea che questo processo non sia necessariamente un tratto distintivo del capitalismo per sè, quanto un tratto del capitalismo neo-liberista che si è affermato dagli anni '80 in poi.

Cosa non funziona nel capitalismo neoliberista?

Un tratto distintivo di questa forma di capitalismo è la flessibilità dei mercati finanziari unita al potere spropositato degli azionisti nelle imprese o nelle aziende. Le due cose sono collegate ma creano un meccanismo perverso. Come? Gli azionisti comprano le azioni di una azienda e ottengono un potere in genere pari al loro pacchetto di azioni. Tuttavia in molte aziende gli azionisti detengono una maggioranza di azioni rispetto agli "stakeholders". Gli stakeholders sono coloro che hanno un interesse diretto nell'azienda: o ci lavorano (gli impiegati), o sono i direttori e i manager, o sono fornitori dell'azienda. Il benessere degli stakeholders dipende dall'azienda: senza l'azienda gli stakeholders non avrebbero lavoro o salario. Gli azionisti, al contrario, sono solo preoccupati di estrarre il maggior profitto possibile dalle azioni che hanno comprato: in un mercato finanziario estremamente fluido, gli azionisti possono rivendere le loro azioni in pochi minuti e "scrollarsi di dosso" l'azienda in fretta.

Dunque gli stakeholders dovrebbero avere particolarmente a cuore l'azienda da cui dipende la loro occupazione, e quindi il loro scopo è che l'azienda abbia successo nel lungo termine. Gli azionisti, invece, hanno l'obiettivo di massimizzare il profitto delle loro azioni in tempi brevi. Nonostante queste diverse prospettive, gli azionisti hanno un maggiore potere nel prendere decisioni  cruciali per il futuro di molte aziende.

Questo significa che in molte aziende ogni investimento fatto per il lungo termine sia visto come un costo inutile da chi è interessato a fare un profitto veloce. E infatti molte aziende (per es. le case automobilistiche americane) per lunghi periodi hanno smesso completamente di fare investimenti per il futuro. Nessun investimento in ricerca e nuove tecnologie, per esempio. Nessun investimento nella formazione e qualificazione della forza lavoro. Siccome gli azionisti pensano ad un profitto veloce, si spende preferibilmente in  marketing e altre attività del genere che servono a "gonfiare" la visibilità di un'azienda, facendo alzare le sue quotazioni in borsa, e favorendo gli azionisti.

Visto che chi detiene il potere degli investimenti sta pensando al breve termine invece che al futuro, non sorprende poi tanto che si senta spesso parlare di un'epoca di stagnazione tecnologica e della conoscenza. Quando i migliori cervelli in circolazione vengono catturati da Google e spendono il loro tempo a  inventare metodi per convincere un utente a cliccare su un banner pubblicitario, è chiaro che c'è un grosso problema.

Tutto questo vuol dire che il capitalismo non funziona? Prima di buttare via tutto e magari abbracciare vaghi e fantasiosi ritorni ad un passato bucolico mai esistito, ci penserei un paio di volte.

Infatti, il capitalismo non è sempre stato il capitalismo neoliberista attuale. Nel periodo del dopoguerra, almeno in occidente, il capitalismo aveva contribuito ad una enorme diffusione di ricchezza e opportunità che furono molto più equamente condivise dai diversi strati delle società. Oppure, il capitalismo realizzato nei paesi scandinavi riesce a unire la spinta al profitto e la tutela della proprietà privata con un sistema che ridistribuisce la ricchezza generata in modo molto equo e offre opportunità universalmente. E ancora, il recente emergere di nuovi poli economici, è probabilmente in parte responsabile per la riduzione della povertà estrema nel mondo. Come sostengono alcuni autori, la proprietà privata dei mezzi di produzione e l'incentivo al profitto - i cardini del capitalismo- possono essere usati con successo ed efficacemente per creare prosperità e opportunità per i più, non solo per i pochi.

Il capitalismo può perciò essere usato per creare ricchezza, innovazione e opportunità diffuse se solo si approntano i giusti strumenti politici per far lavorare il capitalismo per l'interesse generale. Uno di questi strumenti politici potrebbe consistere nel limitare il potere degli azionisti in molte aziende. Per esempio, in Svezia certi pacchetti di azioni in una azienda detengano un peso maggiore nelle decisioni, assicurando in questo modo che i fondatori di molte aziende e i loro eredi, detentori di questi pacchetti, mantengano  maggiore potere decisionale. Oppure, in Germania  rappresentanti dei dipendenti partecipano e hanno potere di voto nelle decisioni che riguardano molte aziende. Queste misure politiche potrebbero garantire investimenti in innovazione e formazione, creando lavoratori competenti difficilmente rimpiazzabili da lavoratori a basso costo in altri paesi, e creando innovazione tecnologica che, tra le altre cose, permetterebbe il superamento di tecnologie inquinanti.

Il capitalismo del resto ha permesso un acceleramento del progresso tecnologico e della qualità di vita enorme negli ultimi secoli. Cercherei perciò di far ri-funzionare il capitalismo prima di pensare di poterne fare a meno. Parafrasando Joseph Stiglitz che parlava di John Maynard Keynes, magari bisogna "salvare il capitalismo dai capitalisti".