Cosa manca a Cagliari rispetto alle Shetland?

Dando uno sguardo alle statistiche sul PIL nelle regioni scozzesi e quelle sarde  una cosa mi aveva incuriosito: nel 1995 le isole Shetland producevano lo stesso PIL della regione di Cagliari. Nel 2008, il PIL pro-capita delle Shetland era cresciuto rispetto a quello della regione di Cagliari.
La domanda che mi sono fatto è dunque come hanno fatto le isole Shetland a far crescere la loro economia in confronto alla provincia di Cagliari ?


L’articolo riporta che nelle isole Shetland i pescatori del luogo stanno per ottenere la certificazione di sostenibilità ambientale per i crostacei pescati in queste isole. Grazie a questa certificazione, i pescatori sperano di esportare questo prodotto locale nei ristoranti di lusso e nei supermercati europei, conquistando i consumatori più consapevoli e attenti alle tematiche ambientali. Nello stesso tempo, la sostenibilità del metodo di pesca dovrebbe garantire che questa produzione continui nel tempo e non si esaurisca nel breve periodo.
Due elementi sono da evidenziare in questa storia:

Il primo è la commistione di locale e globale. Le Shetland hanno una lunga tradizione di pesca e una consolidata esperienza nel settore. Invece che lanciarsi in settori senza un tessuto di conoscenza e infrastruttura locale che li sostenga (vedi l’esempio poco fortunato della chimica sarda), le Shetland puntano su un settore tradizionale. Tuttavia, non è un ritorno a “su connotu” quello delle Shetland, non un mero ritorno alle tradizioni, ma un ripartire dalla tradizione guardando ai trend globali e riconoscendo come quella tradizione può essere messa a disposizione di un mondo globalizzato, valorizzando e capitalizzando su quella tradizione. Ovvero, invece che un chiudersi nella tradizione, riconoscere il valore che quella tradizione ha nel rispondere ad una domanda globale (la domanda per prodotti di qualità che rispettino criteri di sostenibilità). Le Shetland hanno il merito di rivitalizzare il patrimonio locale di conoscenze e risorse senza chiudersi al mondo, ma mettendole a disposizione del mondo in modo consono alle esigenze locali. Usare la globalizzazione per valorizzare e capitalizzare sul locale.

L’altro elemento interessante è la coniugazione di tradizione e innovazione. Ovvero, al di là della conoscenza tradizionale nel settore, i pescatori delle Shetland utilizzano metodi sviluppati dalla locale accademia nautica per scandagliare i fondali e assicurarsi che lo sfruttamento della risorsa naturale non metta in pericolo quella stessa risorsa. L’elemento chiave è la sinergia tra ricerca, innovazione, e risorse umane presenti nel territorio.

Le lontane e remote Shetland ci forniscono un esempio di localizzazione, di come la tradizione e il patrimonio naturale e culturale di conoscenze si può coniugare con la ricerca e l’innovazione e di come sia possibile usare la globalizzazione per poter creare benessere in modo sostenibile e compatibile con le esigenze del territorio. In una Sardegna che piange miseria in virtù della propria insularità, dove c'è scarso investimento in ricerca e sviluppo, e dove alcuni invocano semplicistici e illusori ritorni a “su connotu”, forse dovremmo guardare a queste piccole isole e riflettere.

di Oliver Perra 

PS: mentre tutto quello detto qua sopra rimane valido, bisogna anche ricordare che le isole Shetland usufruiscono di pagamenti del governo per compensare l'impatto delle piattaforme che raccolgono petrolio nel Mare del Nord.


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February 1943

The signs of the Allied bombing (1943) still visible.




Cagliari, Sardinia, was an important strategic base for the Italian Navy and Air Force during WWII being mid-way between the European Mainland and Africa.
Apart from the harbour, an important naval base, many important military airports were in the outskirts of Cagliari.

Cagliari remained relatively unscathed by the war until February 1943. In that month, the Allies (lead by the US Air Force) launched a series of strikes directed not only against the harbour, airports and factories around Cagliari, but also against the civil population. Cagliari was heavily bombed, not being appropriately prepared to counter an attack of this scale.

According to the stories that my grandmothers told me, the population was also unprepared and the initial wave of allied bombings took many by surprise (including my grandmother, who used to tell me she hid in an alleyway near the port during the first allied bombing, hardly an appropriate sanctuary against that scale of bombing).

After several waves of bombing, many parts of the city were left in a rubble, and after the spring many inhabitants of Cagliari, homeless and fearing for their lives (and the increased rate of crime and instability in the city) decided to leave what remained of the city. Whoever had the possibility moved to villages and small towns in the countryside. The citizens of Cagliari were often hosted in the villages by relatives and/or friends. The villagers shared their houses and whatever little food they had with people from the city with whom they often had very loose connections. It was a very moving display of solidarity between fellow Sardinians.

After September 1943, when Italy switched side in the war, Cagliari and Sardinia were occupied by the German Army. The German occupation did not last long however, as the Germans retreated to mainland Italy to strengthen their positions there. None of the atrocities perpetuated in Italy took place in Sardinia during the German occupation, also because no partisan movement developed in Sardinia during this period. When the Germans left, the American Army occupied Sardinia.

In my grandmothers' stories, the Germans were always described as orderly. On the contrary, they often referred to the unruly behaviour of American soldiers. The Americans however were pivotal in eradicating malaria from Cagliari. They heavily used the pesticide DDT to sanitise many areas, eradicating malaria almost completely. Until not long ago it was still possible to see walls in the town with a stencilled "DDT" and the date, indicating the date of the sanitation.

The picture above was taken in 2007. This was the rubble left by the bombing of 1943 in the centre of Cagliari, in the spot where a theatre used to be. Over 60 years after the bombing, it was still possible to see the signs of this event.
Soon after I took this picture, the rubble was eventually cleared, and the theatre has been renovated, although it remains an open-air, roofless theatre.

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28 Aprile 1794

Il 28 Aprile 1794 il popolo di Cagliari insorgeva per difendere due avvocati sardi dall’arresto comandato dal viceré piemontese. Da quell’episodio nacque una rivolta generale e la Sarda Rivoluzione.

Quello che seguì fu l’autogoverno dei sardi sulla Sardegna, un governo in cui gli Stamenti agirono come veri e propri parlamenti e avviarono diversi tentativi di riforma istituzionale che cercavano di venire incontro alle esigenze di una società che cambiava e che guardava alle istanze di rinnovamento provenienti dal resto d’Europa, prevalentemente dalla Francia dove andavano compiendosi alcune delle idee illuministiche attraverso la rivoluzione.

Tra queste riforme era stata anche la concessione a rappresentanti del popolo cagliaritano di partecipare ai lavori degli Stamenti, permettendo alle masse popolari di compartecipare alla gestione della cosa pubblica in qualche misura.
Quella rivoluzione rimase incompiuta. Sconfitta l’ala reazionaria a Cagliari e Sassari, molti dei riformatori non vollero seguire le conseguenze dell’opera che avevano iniziato. Mentre Angioy e i democratici proponevano un quadro di riforma istituzionale radicale e l’abolizione del feudalesimo con l’acquisizione dei diritti feudali attraverso un equo compenso ai feudatari, i riformatori “ravveduti” (come vennero ironicamente chiamati), per timore di una riforma radicale si riproponevano una piattaforma che mirava solo a dare all’élite sarda qualche ruolo limitato nell’amministrazione della Sardegna. Una piattaforma, quella dei ravveduti, che è stata definita autonomista e che aveva ormai perso ogni funzione e slancio.




Quella rivoluzione rimane un cammino non portato a termine, un nodo non sciolto. Ma questo fallimento non era inevitabile, non era predestinato e non era nella logica delle cose. Questa ricorrenza dovrebbe fornirci la consapevolezza che allora si sarebbe potuto fare. Si sarebbe potuto avviare una riforma istituzionale che avrebbe concesso maggiore libertà e prosperità alla nazione sarda. Si sarebbe anche potuto fondare una repubblica, come alcuni dei rivoluzionari democratici proponevano. Si sarebbe potuto fare tutto questo ma le contingenze e le scelte di alcuni hanno determinato l’interruzione di quel cammino.
Si sarebbe potuto fare allora, e questa giornata dovrebbe ricordarci che di fronte ad altri punti nodali della storia, potremo fare di nuovo, avremo di nuovo la responsabilità delle nostre scelte.

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