Brexit, globalizzazione, localizzazione,...e la Sardegna



Il voto nel referendum britannico che ha deciso l'uscita dall'Unione Europea, è stato visto come una rivolta contro la globalizzazione. Le zone periferiche che hanno perso le industrie che davano lavoro a tanti, e che, nello stesso tempo, hanno visto l'influsso di beni fabbricati in Cina o Vietnam, e l'arrivo di immigrati pronti a lavorare per lunghe ore per ottenere il salario minimo, avrebbero convinto queste regioni a "riprendere il controllo" sul loro paese.

Ma la globalizzazione è un fenomeno complesso. Sicuramente non è un fenomeno unidirezionale: non va solo in un senso. Se è vero che con la globalizzazione diventa più facile importare prodotti da altri paesi dove il costo del lavoro è molto più basso, è anche vero che unendo competenze locali con l'innovazione, prodotti da una una regione europea possono essere venduti con successo in altre parti delmondo. Oppure, se è vero che molti paesi subiscono l'influenza dei modelli culturali americani o anglosassoni, è anche vero che quei modelli possono essere usati per creare storie radicate nella cultura e storia locale, ma che hanno la possibilità di affascinare un pubblico internazionale (vedi il successo di produzioni televisive danesi come Borgen).

 Il problema è che l'uscita dall’UE difficilmente arresterà gli effetti perversi della globalizzazione, ma, al contrario, priverà le regioni "periferiche" del Regno Unito della possibilità di usare la globalizzazione a proprio vantaggio, come questo articolo spiega efficacemente.

Una struttura come l'UE che sta al di sopra degli stati, significa infatti che regioni "periferiche" e "minoritarie" all'interno dello stato hanno altri canali per creare opportunità economiche e ricevere fondi. Per quanto imperfetta, l'Unione Europea ha rappresentato un veicolo per diverse regioni per coordinarsi con altre regioni, per affermare i propri interessi economici, e per ricevere fondi per progetti importanti (per es. i fondi strutturali europei). L'esistenza di una struttura al di sopra dello stato permette almeno di avere uno spazio dove le regioni possono "giocare le proprie carte" in uno scenario globale, senza dover passare attraverso il controllo e la mediazione dello stato centrale (a Londra, come a Madrid o a Roma).

Uscire dall'UE e ridare il controllo a Londra, significherà probabilmente un maggiore accentramento di risorse, talenti, e investimenti nella capitale. Gli interessi di regioni "centrali" e maggioritarie come Londra saranno semplicemente troppo forti per immaginare che le regioni periferiche come Cornovaglia o Galles riusciranno a far valere i propri interessi: e in più, con l'uscita dall'UE, queste regioni non avranno un'altra piattaforma dove poter giocare le proprie carte.


 Non a caso, la Scozia ha votato nettamente a favore di rimanere parte dell’UE. Questo attaccamento alle istituzioni Europee non è un ideologico o romantico. La Scozia, avendo creato istituzioni locali che lavorano per gli interessi scozzesi, ha infatti usato le opportunità offerte dall'Unione Europea e la globalizzazione. Da quando ha riottenuto un parlamento e un governo locale, la Scozia ha infatti creato opportunità stabilendo uffici nelle istituzioni europee, facendo lobbying in Europa per far valere i propri interessi, riconoscendo le opportunità che l’Europa offriva, e connettendo la propria economia con quella di altre regioni in Europa. E ha fatto questo spesso agendo indipendentemente, aggirando il controllo e la mediazione di Londra. Insomma, la Scozia ha saputo trovare un ruolo per sè nell'UE, usando questa struttura come una piattaforma per connettersi con il resto d’Europa, badando ai propri interessi indipendentemente da Londra.

La Sardegna in questo gioco sembra ancora estremamente in ritardo, sia per poca frequentazione delle istituzioni europee, sia per mancanza di aspirazioni nel voler rappresentare direttamente gli interessi della Sardegna in contrasto con quelli del “governo amico” di turno a Roma. Gli indipendentisti sembrano anch’essi impreparati, troppo impegnati forse a occuparsi di questioni identitarie. Molti sembrano anche visceralmente ostili all'Unione Europea. Ma, sebbene non perfetta, una struttura sovra-statuale come l'UE è necessaria per creare opportunità per nazioni e regioni come Sardegna e Scozia: una fine ingloriosa dell'UE, e il ritorno di nazioni-stato centralizzate, non sarà un bel avvenire per nazioni come Scozia e Sardegna.





Chi ha bisogno dell'indipendentismo?



Scrissi questo circa un anno fa. Mi sembra ancora attuale, specie considerando che in Sardegna ancora non emerge un'alternativa credibile che abbia come orizzonte la Sardegna e l'interesse dei cittadini di Sardegna. Il titolo è volutamente provocatorio.

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Omar Onnis scrive che “La questione della autodeterminazione della Sardegna non è una questione tra le tante, […], bensì è LA QUESTIONE politica dei nostri anni.” Sono d’accordo. Penso infatti che l’autodeterminazione della Sardegna sia l’unica possibilità di colmare il deficit democratico in Sardegna: una Sardegna indipendente potrebbe permettere ai cittadini di Sardegna di esercitare un controllo più diretto e preciso su chi riceve il mandato di governare. E i cittadini sardi  potrebbero avere maggiore possibilità di influenzare le decisioni che li riguardano. 
Inoltre, l’autodeterminazione della Sardegna potrebbe permettere di migliorare le prospettive economiche della Sardegna,  facilitando politiche che rispondano agli interessi dei cittadini di Sardegna, contribuendo a creare benessere e prosperità.

Ma per fare tutto questo, probabilmente l’indipendentismo non ci serve.
Il problema dell’indipendentismo è in quell' –ismo attaccato all’obiettivo dell’indipendenza. 

L’indipendentismo in Sardegna è stato tradotto in ideologia senza però costruire una visione condivisa della società sarda da costruire prima e dopo l’indipendenza. Senza questa visione condivisa, l’indipendentismo sardo è rimasto solo un movimento, utile per atteggiarsi (magari vestendosi “a la sarda”, o cambiandosi il nome per farlo più sardo), ma velleitario e incapace di creare consenso.

Un movimento che si atteggia a ideologia senza averne le basi si coalizza facilmente nell’opporsi a quello che esiste.  I “grandi successi” dell'indipendentismo sono infatti tutte azioni contro qualcosa, basi militari, nucleare, ecc. Tutto giusto: peccato che nello stesso tempo l’indipendentismo abbia fallito nel proporre un'idea coerente di che tipo di futuro si vuole costruire per la Sardegna.  
Soprattutto, senza una idea di società futura, l’indipendentismo si è inevitabilmente ancorato su questioni “identitarie”. Per esempio la questione della “lingua”. Nel mettere al centro questioni come la lingua e cultura (cultura naturalmente “identitaria”), l’indipendentismo è ricaduto diverse volte nelle trappole di una visione fondamentalmente nazionalista ed esclusiva, dove cultura “identitaria” e lingua (Sa Limba, come se in Sardegna ce ne fosse solo una), fossero il fondamento dell’appartenenza alla Sardegna. I sardi invece continuano a comunicare con o senza “Sa Limba” e continuano a consumare e creare cultura anche senza preoccuparsi di quanto sia “identitaria” o meno.

La conseguenza dell’avere una base ideologica così vaga e pericolosamente nazional-identitaria,  è il fallimento dell’indipendentismo sardo nell’elaborare politiche che abbiano parlato in modo pragmatico di prosperità e sviluppo. Senza una visione sociale ed economica coerente, l’indipendentismo ha fallito nel dare risposte ai temi  basilari del fare politica, i temi economici e sociali.
E questo fallimento nell’articolare politiche economiche concrete non ha fatto che tenere lontani i ceti e le persone moderate dall’indipendentismo, come sottolinea Maurizio Onnis

 Il fatto che si continui, per esempio qua, ad augurare che gli indipendentisti si uniscano per “fare 4 o 5 cose” lo trovo deprimente. I cittadini sardi potranno anche essere d’accordo su queste 4 o 5 cose, ma chi aspira a governare la Sardegna dovrebbe dare risposte a questioni che vanno oltre le 4 o 5 questioni che gli indipendentisti propongono. Per essere credibili bisognerebbe avere una visione a tutto tondo, che includa economia, impresa, industria, educazione, trasporti, infrastruttura... Gli indipendentisti hanno spesso fallito nel dare risposte coerenti  a domande su queste questioni, spesso  più preoccupati dal compito di “creare coscienza nazionale”. 

La Sardegna avrebbe quindi bisogno di indipendenza, ma non dell'indipendentismo da 4/5 titoli. E come sottolinea Anghelu Morittu, forse l'unico modo per ripartire è partire dal governare il territorio, magari anche dall'opposizione, per cominciare ad acquisire una visione a tutto tondo.