Scrissi questo circa un anno fa. Mi sembra ancora attuale, specie considerando che in Sardegna ancora non emerge un'alternativa credibile che abbia come orizzonte la Sardegna e l'interesse dei cittadini di Sardegna. Il titolo è volutamente provocatorio.
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Omar Onnis scrive che “La questione della autodeterminazione della Sardegna non è una questione tra le tante, […], bensì è LA QUESTIONE politica dei nostri anni.” Sono d’accordo. Penso infatti che
l’autodeterminazione della Sardegna sia l’unica possibilità di colmare il
deficit democratico in Sardegna: una Sardegna indipendente potrebbe permettere ai
cittadini di Sardegna di esercitare un controllo più diretto e preciso su chi
riceve il mandato di governare. E i cittadini sardi potrebbero avere maggiore possibilità di
influenzare le decisioni che li riguardano.
Inoltre, l’autodeterminazione della Sardegna potrebbe
permettere di migliorare le prospettive economiche della Sardegna, facilitando politiche che rispondano agli
interessi dei cittadini di Sardegna, contribuendo a creare
benessere e prosperità.
Ma per fare tutto questo, probabilmente l’indipendentismo
non ci serve.
Il problema dell’indipendentismo è in quell' –ismo attaccato
all’obiettivo dell’indipendenza.
L’indipendentismo in Sardegna è stato tradotto in ideologia
senza però costruire una
visione condivisa della società sarda da costruire prima e dopo
l’indipendenza. Senza questa visione condivisa, l’indipendentismo sardo è
rimasto solo un movimento, utile per atteggiarsi (magari vestendosi “a la
sarda”, o cambiandosi il nome per farlo più sardo), ma velleitario e incapace
di creare consenso.
Un movimento che si atteggia a ideologia senza averne le
basi si coalizza facilmente nell’opporsi a quello che esiste. I “grandi successi” dell'indipendentismo sono
infatti tutte azioni contro qualcosa, basi militari, nucleare, ecc.
Tutto giusto: peccato che nello stesso tempo l’indipendentismo abbia fallito
nel proporre un'idea coerente di che tipo di futuro si vuole costruire per
la Sardegna.
Soprattutto, senza una idea di società futura,
l’indipendentismo si è inevitabilmente ancorato su questioni “identitarie”. Per
esempio la questione della “lingua”. Nel mettere al centro questioni come la
lingua e cultura (cultura naturalmente “identitaria”), l’indipendentismo è
ricaduto diverse volte nelle trappole di una visione fondamentalmente
nazionalista ed esclusiva, dove cultura “identitaria” e lingua (Sa Limba, come
se in Sardegna ce ne fosse solo una), fossero il fondamento dell’appartenenza
alla Sardegna. I sardi invece continuano a comunicare con o senza “Sa Limba” e
continuano a consumare e creare cultura anche senza preoccuparsi di quanto sia
“identitaria” o meno.
La conseguenza dell’avere una base ideologica così vaga e
pericolosamente nazional-identitaria, è
il fallimento dell’indipendentismo sardo nell’elaborare politiche che abbiano
parlato in modo pragmatico di prosperità e sviluppo. Senza una
visione sociale ed economica coerente, l’indipendentismo ha fallito nel dare risposte ai temi basilari del fare
politica, i temi economici e sociali.
E questo fallimento nell’articolare politiche economiche
concrete non ha fatto che tenere lontani i ceti e le persone moderate
dall’indipendentismo, come sottolinea Maurizio Onnis.
Il fatto che si continui, per esempio qua, ad augurare che gli
indipendentisti si uniscano per “fare 4 o 5 cose” lo trovo deprimente. I
cittadini sardi potranno anche essere d’accordo su queste 4 o 5 cose, ma chi aspira a governare la Sardegna dovrebbe dare risposte a questioni che vanno oltre le 4 o 5 questioni che gli indipendentisti propongono. Per essere credibili bisognerebbe avere una visione a tutto tondo, che includa economia, impresa, industria, educazione, trasporti, infrastruttura... Gli indipendentisti hanno spesso fallito nel dare risposte
coerenti a domande su queste questioni, spesso più preoccupati dal
compito di “creare coscienza nazionale”.
La Sardegna avrebbe quindi bisogno di indipendenza, ma non dell'indipendentismo da 4/5 titoli. E come sottolinea Anghelu Morittu, forse l'unico modo per ripartire è partire dal governare il territorio, magari anche dall'opposizione, per cominciare ad acquisire una visione a tutto tondo.
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