Referenda e democrazia: pensieri post-Brexit


Il risultato del referendum nel Regno Unito, dove una marginale maggioranza (51,9%) ha deciso di lasciare l'Unione Europea, ha aperto un dibattito accesso sui social media riguardo la democrazia. 

Alcuni sostengono che questioni complesse come quella di aderire all'UE non dovrebbero essere sottoposte alla volontà popolare tramite referendum. Altri mettevano  in rilievo che il voto per lasciare l'UE era prevalente in aree più povere e con meno istruzione, e, rivelando un atteggiamento elitario, mettevano in dubbio che queste fasce abbiano competenza per decidere su questioni del genere.

Voler negare alla volontà popolare il diritto di decidere su questioni complesse come l'adesione all'UE non mi sembra un atteggiamento molto democratico.

 Nonostante questo, il modo in cui il referendum si è svolto in Gran Bretagna ha rivelato diversi nodi da sciogliere. 

Una prima osservazione, per chi ha vissuto in prima persona questa campagna referendaria, è che il  dibattito sul voto non si sia centrato su fatti e dati, ma si sia stato un dibattito molto urlato, tutto incentrato su slogan e emozioni. Da una parte "Remain" ha fatto una campagna molto negativa, cercando di far preoccupare i cittadini riguardo le possibili (e reali) conseguenze negative dell'uscita. Nicola Sturgeon, che ne sa, aveva avvertito sui rischi di fare una campagna tutta negativa, ma non è stata ascoltata, e la sua voce fuori dalla Scozia non si è sentita molto. 

D'altra parte "Leave" ha fatto una campagna tutta basata sul tema dell'immigrazione da controllare, slogan sul "riprendere il controllo", dati gonfiati se non platealmente falsi. In tutto questo, nessuno è riuscito (o ha voluto) riportare il dibattito sui dati e sui fatti. Michael Gove, che ora si candida a guidare i Conservatori e il governo britannico, ha detto "i cittadini sono stufi degli esperti". Esiste allora davvero un problema se i cittadini non ascoltano gli esperti, o meglio, se gli esperti non hanno più l'autorevolezza di farsi ascoltare dai cittadini che votano. 

Qualcosa si è rotto, e se non esiste un modo di discutere su questioni importanti come queste ragionando su fatti e dati credibili, le decisioni prese non saranno ragionate. Il problema non è che i cittadini non istruiti votano, il problema è lo scollamento tra cittadini e chi dovrebbe portare strumenti di conoscenza (gli esperti) e chi dovrebbe esercitare leadership, i politici, e guidare il dibattito usando strumenti di conoscenza.

Le regole di questo referendum erano chiare, accettate da tutti, dunque il voto va rispettato per quello che è stato. 

Ma esiste un altro problema, che è quello che la democrazia non è solo, o semplicemente, la volontà della maggioranza, ma dovrebbe essere un sistema di contromisure e controlli ("checks and balances") che permetta la mediazione di interessi a volte contrastanti, e assicuri un terreno comune dove le decisioni della maggioranza abbiano autorevolezza.

 In questo referendum tutti questi sistemi di contromisure non ci sono stati, e questo è stato un altro errore di Cameron e della sua arroganza. 

È stato infatti irresponsabile fare un referendum sull'UE senza prima garantire un accordo sul Nord Irlanda che preservasse la sostanza degli accordi di pace nel caso vincesse  "Leave". Nessuno l'ha fatto, e ora ci si trova in una situazione che rischia di distruggere il frutto di accordi che hanno garantito il ritorno alla normalità di un paese distrutto da 30 anni guerra civile. 

Si sarebbe dovuto anche fare un accordo sulla Scozia, per garantire un processo che tuteli gli interessi di questa nazione. Nessuno l'ha fatto, e la maggioranza degli inglesi e dei gallesi ha calpestato molto incoscientemente le considerazioni di queste nazioni "minoritarie". Gli scozzesi e gli irlandesi (a nord e a sud del confine) hanno ben ragione di essere risentiti verso la maggioranza e questa idea di democrazia della maggioranza senza bilanciamenti. 

Anche in Inghilterra, un voto per maggioranza su una questione così importante sta letteralmente spaccando il paese e alcune delle storiche istituzioni democratiche come i due maggiori partiti britannici (Conservatori e Laburisti). Un voto per maggioranza senza bilanciamenti e che non è stato preceduto da una attenta riflessione per garantire autorevolezza a questo voto, sta determinando il rischio di una profonda spaccatura nel Regno Unito, una spaccatura che sembra minacciare l'esistenza stessa di questo paese.

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