Processo e stato di diritto - di Ignazio Cuncu Piano

Carissmo Oliver:
qualche sera fa lessi un'altra tua riflessione - argomentata e polposa come sempre - sul processo
catalano.

Trattavi sul rapporto tra processo d'indipendenza e rispetto dello stato di diritto. Mi sono sentito abbastanza in sintonia con le tue parole. Sono d'accordo sul fatto che i catalani abbiano peccato di poco dialogo. Credo che se avessero agito allo stile “Scozia” da te descritto, avrebbero avuto anche loro ottime possibilità per sensibilizzare meglio l'opinione pubblica e approdare a un referendum meno compulsivo.

Ma come tu stesso affermi, le chiusure del Governo spagnolo a un dialogo più volte cercato hanno di certo scoraggiato un processo più lineare. Dove differisco parzialmente - ma forse non ti ho interpretato adeguatamente - è circa il rapporto tra stato di diritto e processo d'indipendenza.

 Mi spiego (il seguente esempio non si riferisce alla Catalogna): credo che una maturazione democratica verso l'autodeterminazione, frutto di un processo graduale, fibroso, serio, ampiamente argomentata e dialogata (stile Scozia) e vagliata da un referendum, sia un elemento già di per sé (cioè: naturalmente) di grande aderenza allo stato di diritto.
A questo punto, come tu sostieni, si dovrà cercare, inoltre, di convogliare il tutto nei canali
offerti dal diritto nazionale e internazionale, col fine di ottenere consenso anche da chi non sarebbe
d'accordo, come un maturo senso democratico auspicherebbe (della serie: “Non sono d'accordo ma
riconosco il tuo legittimo diritto di procedere in tal modo...”).
Ma se ciò non avviene, se coloro che interpretano il diritto nazionale e internazionale stentano o non sono disposti ad accogliere, a questo punto l'etnia in questione ha diritto a due opzioni a mio avviso di pari liceità: pazientare e auspicare la maturazione di tale consenso (nazionale/internazionale) o andare avanti e farsi lentamente spazio con le proprie forze (sempre in termini democratici) cioè: autolegittimare dal basso (dal demos) la propria autodeterminazione. A mio avviso tale decisione non sarebbe da dirsi populista, in quanto, l'etnia che persegue l'indipendenza ha sì tentato il cammino circa il riconoscimento, ma senza i risultati perseguiti.


In definitiva: credo che faccia parte dello stato di diritto insito nella dignità (e maturità) di un
popolo che un'etnia non ascoltata a livello internazionale e nazionale, oltrepassi lo stato di diritto costituito. Oltrepassi e non “infranga”
. Non quindi contrapposizione ma... superazione. Una
superazione, chiaro, come ultima istanza ad una prolungata negativa internazionale.

Inoltre bisognerebbe appurare se il diritto internazionale sia sufficientemente predisposto per
accettare un processo di autodeterminazione modernamente inteso
, o se ancora si debba arrivare alla costruzione di corpi legislativi internazionali che definiscano in modo più fruibile e attualizzato i
termini di tale processo. Credo in proposito che i concreti processi di autodeterminazione possano
essere di stimolo a tale adeguamento legislativo oggi molto necessario. Penso infatti che se la
Catalogna raggiungerà il proprio obiettivo
, altri popoli, in ambito UE (e oltre), saranno stimolati
verso lo stesso percorso (una vera arricchente novità per un'Europa “unita nella diversità”, lungi
dall'attuale omologante ordinamento UE).

Capisco quanto autoproclamare un'indipendenza senza consenso internazionale sia di enorme rischio (boicottaggi di vario genere e quant'altro). Capisco come, pur con regole chiare, un processo
d'indipendenza abbia ugualmente un'intrinseca complessità, variabile a seconda dell'indole
culturale/economica/politica dei popoli direttamente coinvolti. Capisco anche quanto, in termini di
stato di diritto il discorso sia fine, quanto i limiti siano labili e quanto sia facile fare confusione
(forse è quello che succede a me in questa riflessione).

Tuttavia non bisogna dimenticare che dietro le leggi ci sono gli uomini e le loro intenzioni. E se una legge pur sancita dallo stato di diritto, in sé buona e operativamente fruibile, viene impugnata da egemonie politiche/economiche che per evidenti secondi fini osteggiano ad oltranza l'autodeterminazione di un popolo... ebbene, quel popolo, sempre con scelte non violente, ha il diritto - scritto nella dignità umana e non in qualche comma... - di andare avanti ugualmente.
Gesù diceva duemila anni fa che la legge è fatta per l'uomo e non l'uomo per la legge (cf. Gv 2, 27).
Ovviamente il logion era rivolto alla legalista classe dirigente (religiosa e politica) israelita, ma
l'analogia può estendersi anche all'attuale diritto internazionale.



***********************************************************************

Carissimo Ignazio

ti ringrazio per questa tua riflessione.
Ho cercato di sottolineare i lati positivi del processo catalano (la non-violenza, un processo partecipato nei media e nelle sedi politiche, ecc.), e sono d'accordo con te sul fatto che le istituzioni Europee in primo luogo, e quelle internazionali, sono generalmente impreparate o contrarie ad accettare le istanze di popoli come quello catalano, scozzese, e altri.

Tu parli di etnie (prima) e di popoli (poi) che hanno il diritto di autolegittimare dal basso il proprio desiderio di autodeterminazione e indipendenza.

In questa ambiguita' di termini (etnia / popolo) sta un problema che dovremmo affrontare: chi e' portatore di un diritto all'indipendenza?

Considerare l'etnia come il soggetto che ha diritto all'indipendenza, apre una strada rischiosa: considerare un soggetto politico esclusivo e chiuso, una etnia, basata su una identita' linguistica, o religiosa, ecc.  Chi non e' parte dell'etnia sara' escluso o assimilato (in modo violento) dall'etnia che ha ottenuto l'indipendenza.
Un popolo e' un soggetto politico piu' accettabile per me, se consideriamo che un popolo e' un gruppo che si riconosce in una storia comune. Ma anche questa definizione rischia di essere esclusiva: comunita' e gruppi che non si riconoscono in quella storia rischiano di essere esclusi o assimilati (piu' o meno violentemente).

Io preferirei parlare di cittadini, intendendo che una societa' ha bisogno di riconoscersi non tanto in una storia, ma in un progetto di societa', un progetto fatto di ideali su come la societa' che si vuole creare debba funzionare.

Questo processo dovrebbe comprendere un riconoscimento di buone pratiche e istituzioni che creano una societa' aperta. Una di queste istituzioni e' lo stato di diritto, una societa' basata sulla certezza e chiarezza delle leggi e del diritto.
Hai perfettamente ragione nel dire che il diritto deve servire gli uomini e i cittadini, ed e' purtroppo vero che in molte societa' dell'Occidente lo stato di diritto sta tradendo la sua funzione.
Come dice lo storico Niall Ferguson, "the rule of law has become the rule of law-yers" , che si potrebbe tradurre come lo stato di diritto sta diventando lo stato degli avvocati.
Le leggi poi non si adeguano subito  a riconoscere diritti che molti cittadini considerano quasi 'naturali' (vedi, per es., la situazione nel Nord Irlanda, dove vivo, che e' l'unico luogo nelle isole britanniche che non riconosce il diritto al matrimonio per coppie omosessuali).
Quindi i cittadini hanno diritto a perseguire il riconoscimento di questi diritti, in modo non violento.

Dove il processo catalano e' scaduto e', secondo me, nella leadership politica: i leader catalani hanno voluto forzare le tappe, e in questo hanno fatto un disservizio ai propri cittadini. Non era appropriato forzare le tappe per fare un referendum in un mese. Non era appropriato mandare i cittadini a votare di fronte alla minaccia della violenza della polizia: questo naturalmente non vuole assolvere la vergognosa condotta della polizia e istituzioni spagnole. Non era adeguato dichiarare l'indipendenza con un voto svoltosi nel caos e dove solo 43% degli aventi diritto hanno potuto prendere parte. Nel forzare queste tappe i leader catalani hanno chiamato in causa il popolo, ma una leadership matura avrebbe dovuto servire meglio il popolo garantendo il diritto di tutto il popolo ad avere un processo legittimato dalla massima trasparenza e apertura.

Quello che mi rattrista e' che queste forzature rischiano di aver polarizzato il discorso politico in Catalogna, e la polarizzazione rischia di alienare le simpatie anche di quelle persone che potevano diventare sostenitrici del processo di indipendenza. Questa polarizzazione e reazione dei moderati rischia di far perdere consenso agli indipendentisti alle prossime elezioni, e di dare una vittoria alla Spagna.
E questo rischia di avere ripercussioni in Sardegna, dove gli indipendentisti si sono schierati molto ideologicamente e acriticamente per il processo catalano, uscendo con questo povero comunicato.

La questione catalana, l'Europa, la globalizzazione

Sono stato piuttosto critico sul processo di indipendenza catalana: mi dispiace che il governo catalano abbia cercato di bruciare determinate tappe invece che lavorare con pazienza; e mi dispiace che -in modo opportunista- il governo catalano abbia enfatizzato il principio della sovranità popolare contrapponendolo, capziosamente, a quello dello stato di diritto.

La questione catalana però ripropone questioni politiche che dovranno essere pur affrontate per il futuro del progetto europeo.

 A. Il dibattito ha riproposto la questione dell'autodeterminazione dei popoli. E diversi esperti considerano che il diritto all'autodeterminazione è sancito in modo chiaro da trattati internazionali. Questi trattati hanno maggior autorevolezza delle costituzioni di uno stato. Un principio sancito e riconosciuto da trattati internazionali -come quello della libertà di autodeterminazione- , non può essere negato da una costituzione nazionale.

B. La questione catalana dimostra anche l'inadeguatezza di costituzioni come quella spagnola (e, va da sè, quella italiana) nell'affrontare problemi importanti come quello dell'autodeterminazione. Appellarsi alla Costituzione per negare diritti riconosciuti e conclamati, e pretendere nello stesso tempo di essere al di sopra delle parti e neutrali, è un atto di ipocrisia politica. Le Costituzioni non sono scritte sulla pietra, e non si può usare una costituzione per negare diritti universali. Alla fin fine, non avere una costituzione scritta (vedi la Gran Bretagna): la Gran Bretagna, non dovendo riscrivere la costituzione, ha potuto riorganizzarsi velocemente e flessibilmente per devolvere poteri alle sue nazioni "minoritarie", Scozia, Galles, Nord Irlanda.

C. Questioni così importanti come il principio di autodeterminazione forse costringeranno l'Unione Europea ad affrontare il problema: continuare a far finta che la questione catalana sia un problema interno alla Spagna, diventa sempre più imbarazzante.

D. Spesso si considerano le questioni di nazioni senza stato come la Catalogna una reazione contro la globalizzazione. In realtà, penso che le questioni dell'autodeterminazione siano un aspetto della globalizzazione e che si possa pensare l'autodeterminazione solo dentro un mondo globalizzato. Per esempio, il principio e l'esistenza dell'Unione Europea permette di pensare che "piccole" nazioni possano essere indipendenti, non dovendo contare sulle proprie limitate risorse per la propria difesa, o potendo contare su un mercato globale per i propri prodotti, invece che sul proprio (limitato) mercato interno.

 
E ci sono diversi aspetti positivi e virtuosi nel processo catalano, aspetti da cui dovremmo prendere esempio.

Gli indipendentisti catalani sono assolutamente ammirevoli nella loro pacata non-violenza, anche di fronte alla brutalità della polizia. Anche di fronte alla vergognosa e anti-democratica revoca dell'autonomia locale. Anche di fronte al vergognoso arresto di cariche politiche, i catalani continuano a mostrare un'ammirevole calma e dignitosa determinazione. In questa non-violenza anche di fronte alle provocazioni, i catalani sono un grande esempio.




Una lunga strada ancora da fare per i partiti sardi...

Le vicende della Catalogna interessano tutta l'Europa e stanno creando uno spazio per un dibattito. Purtroppo il dibattito è molto polarizzato, e questo anche per colpa sia delle istituzioni spagnole che quelle catalane. Quello che penso del processo di indipendenza catalano l'ho scritto qua. Aggiungo che in una democrazia, è fondamentale che a riconoscere l'autorevolezza di decisioni importanti siano per primi coloro che non sono d'accordo con quelle decisioni.

Un esempio virtuoso di questa autorevolezza era stato il referendum scozzese:

- La data del referendum era stata decisa 18 mesi prima, dando l'opportunità a tutte le parti interessate di organizzarsi e partecipare al dibattito; il referendum catalano era stato indetto ufficialmente un mese prima.
-  La decisione del parlamento scozzese di indire un referendum era stata legittimata in parlamento  mentre quella presa dal governo catalano non era stata apparentemente  legittimata dai 2/3 del parlamento, come avrebbe dovuto.
- Come in Catalogna, non esisteva un "quorum" per il referendum scozzese, ma l'ampia preparazione al voto aveva assicurato una partecipazione enorme sia al dibattito (il governo scozzese, per esempio, aveva inviato a tutti i cittadini un ampio dossier su come una Scozia indipendente sarebbe stata), che al voto.
Insomma, tutte queste differenze avevano permesso che nessuno in Scozia, sia che fosse contrario che favorevole all'indipendenza, potesse mettere in dubbio l'autorevolezza e la legittimità della decisione finale.

Non c'è dubbio che la Catalogna abbia dovuto giocare su un campo diverso rispetto alla Scozia: il governo spagnolo ha sempre rifiutato di accettare che la Catalogna potesse anche solo pensare di fare un referendum. Tuttavia le tappe forzate non permettono di considerare il governo catalano legittimato da un processo adeguato. Anche il solo fatto che l'indipendenza sia stata dichiarata con un voto svoltosi nel caos e a cui hanno partecipato solo il 43% degli elettori, mette in evidenza un serio problema di autorevolezza.

Volevo però riflettere sulle ripercussioni di questa questione in Sardegna.

La maggior parte dei partiti indipendentisti, compresa Sardegna Possibile, ha firmato questo comunicato.Il comunicato mette un evidenza un problema profondo:  mette in opposizione la legalità fondata sulla sovranità del popolo, a quella fondata sulle leggi.

Penso che questa sia una contrapposizione falsa, e una affermazione molto pericolosa, perchè dimostra una tendenza al populismo. È molto preoccupante che anche partiti come Sardegna Possibile che si propongono come partiti di governo della Sardegna, dimostrino di avere poco rispetto per il principio dello stato di diritto.
Viene da chiedersi come si propongono di governare questi partiti se per loro lo stato di diritto è semplicemente ribaltabile quando esiste "la volontà popolare".

Penso invece che lo stato di diritto sia la base di una democrazia vitale. Questo non vuol dire che il diritto è scritto per sempre, immutabile: ma la volontà popolare va esercitata in forme che assicurino l'autorevolezza del processo di cambiamento, non a base di plebisciti.

Per ribaltare questi argomenti, il partito indipendentista di maggior successo in Europa, Scottish National Party, avendo una maggiore cultura istituzionale, si è tenuto completamente alla larga dalla questione catalana, dicendo, per esempio che "ovviamente lo stato di diritto è importante; ovviamente la democrazia è importante. Ma non si può mettere l'uno contro l'altro, e questo è quello che Spagna e Catalogna hanno fatto".

Purtroppo sembra che per i partiti indipendentisti sardi la difesa dello stato di diritto non sia una cosa ovvia. Questa mancanza di cultura istituzionale non sarebbe un problema se i partiti sardi si proponessero di parlare ai convertiti. Diventa invece un problema quando si propongono di parlare ai moderati. Se infatti i partiti sardi non cambiano linguaggio e non maturano una cultura politica fatta di istituzioni, stato di diritto, e riforme, sarà davvero difficile convincere i moderati quando si ripresenteranno al voto.

Democrazia e referenda (2)

I miei pensieri sul referendum catalano:
 
1.Usare la forza contro persone che pacificamente vogliono votare e' vergognoso e denota la matrice autoritaria e anti-democratica del governo spagnolo. Niente puo’ giustificare l’uso della violenza e l’abuso. 
 
2. La democrazia non si esprime unicamente nel voto o nei plebisciti, ma si esprime attraverso "checks & balances", contrappesi e misure di bilanciamento/moderazione che garantiscono che determinati processi siano condivisi e partecipati per garantire i diritti di tutti i cittadini.
Nel caso di Brexit, la democrazia avrebbe richiesto garanzie sui diritti di nazioni cosi’-dette "minoritarie" (es. Scozia), o garanzie sui diritti dei cittadini UE, per esempio.
Nel caso della Catalonia, una posizione bilanciata avrebbe richiesto un quorum per il voto, e il voto come l'inizio di un processo di negoziazione sulla forma di governo. Decidere di non avere un quorum per prendere una decisione talmente importante come indipendenza, o la dichiarazione di dichiarare l'indipendenza dopo due giorni dal voto, non mi sembrano cose che assicurino un processo di indipendenza condiviso e partecipato. 
 
3. Durante il referendum scozzese, c'è stato una grande partecipazione nel dibattito sul tipo di nazione che la Scozia sarebbe diventata dopo il referendum. Molte persone che non avevano mai partecipato alla politica si sono ritrovate coinvolte e appassionate, e sono nati diversi gruppi (per es. Common Weal http://allofusfirst.org/) che proponevano una visione di società’ per il futuro della Scozia. Potrei sbagliarmi, ma mi sembra che questo tipo di dibattito sia mancato in Catalonia. In parte la responsabilità e’ della Spagna, che ha cercato di reprimere ogni tentativo di voto con la forza e l’abuso di essa. Ma chiedere l’indipendenza senza un dibattito partecipato sulla forma di società che si vuole non mi sembra un esempio virtuoso di processo di indipendenza.
 
4. Che piaccia o no, l’indipendenza richiede anche la necessita’ del governo indipendentista di assumere autorevolezza agli occhi di altri governi. Dopo questo triste referendum dove -a quanto pare- hanno votato meno il 42% degli aventi diritto, la Catalonia non puo’ pretendere di avere autorevolezza e consenso di fronte ad altre nazioni. 
 
Rimango sempre più convinto che la Sardegna avrebbe bisogno di indipendenza per diventare prospera e maggiormente aperta e democratica, ma non penso che il caotico esempio catalano sia un esempio virtuoso, e spero che gli indipendentisti sardi possano rifletterci se vorranno avere il consenso di cittadini come me.