Uno sguardo ad occidente - apologia dei valori liberali

Nella Repubblica d'Irlanda il referendum sull'aborto ha confermato quanto questo paese alla periferia d'Europa sia cambiato in meglio. In tempi in cui paesi della Mitteleuropa sbandierano l'adesione ad una politica illiberale, va fatto tesoro di un successo del genere.
l'Irlanda dovrebbe essere un esempio virtuoso dei pregi del liberalismo.

Da una società oppressiva, l'Irlanda è diventata una società liberale e maggiormente aperta. L'anno scorso un referendum aveva sancito una maggioranza schiacciante per legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso  sesso. Il primo ministro è figlio di un immigrato indiano, e apertamente omosessuale: - giustamente-  il colore della pelle e le preferenze sessuali del primo ministro non sono mai state un elemento per pre-giudicare la sua capacità di poter svolgere il ruolo che occupa. L'Irlanda è d'altra parte trai paesi che ha atteggiamenti favorevoli verso l'immigrazione.


Questa trasformazione della società è andata di pari passo con la crescita economica. L'Irlanda e la Grecia avevano ambedue fatto bancarotta e avevano dovuto ricorrere ad un prestito del Fondo Monetario Internazionale. Mentre la Grecia ha continuato con i piagnistei su presunti complotti della cattiva Germania, ma ha poi fallito nel fare riforme decenti, l'Irlanda ha continuato a fare il suo lavoro, ed è riuscita a ripagare il debito e a continuare a crescere economicamente. Quello che l'Irlanda ha imparato a fare bene è attrarre investimenti dall'esterno, ma nello stesso tempo imporre condizioni che assicurino che questi investimenti portino benefici sul territorio, per esempio con investimenti in ricerca e sviluppo. In questo modo l'Irlanda è diventata una selle nazioni più industrializzate, se si considera produzione industriale in rapporto alla popolazione. Mentre altre nazioni inseguono l'illusione dell'economia della conoscenza, l'Irlanda ha basato la sua ricchezza su una base solida come l'industrializzazione e la produzione.

A volte gli indipendentisti sardi citano ancora l'Irlanda come un esempio, ma si rifanno ad una idea romantica e datata di Irlanda: un paese legato a tradizioni arcaiche e arroccato in difesa della sua identità (la lingua, la storia, ecc.). L'Irlanda di oggi ha invece superato i piagnistei del post-colonialismo per abbracciare le opportunità dell'Unione Europea e della globalizzazione. Non è una società perfetta: per esempio esistono forti disuguaglianze economiche, e nonostante questa vittoria per i diritti delle donne, rimangono grossi problemi nell'assicurare stessi diritti e opportunità a prescindere dal genere. Inoltre, in un paese dove molti che aspirano a certi ruoli frequentano le stesse scuole e gli stessi luoghi, esiste sempre il rischio di cadere in pratiche clientelari o nepotistiche. Tuttavia, l'Irlanda può essere un esempio della strada che piccole nazioni possono intraprendere per creare prosperità e opportunità per i propri cittadini

Una Sardegna possibile che c'e' stata

Girando per i paesi del Campidano e dintorni spesso si vedono i resti di case ed edifici in stile Liberty, quello stile architettonico e decorativo noto in Francia e nel mondo anglosassone come 'Art Nouveau'. Alcuni di questi edifici sono cadenti, ma le decorazioni floreali e le linee leggere rivelano i tratti di questo stile che, tra fine '800 e primi del '900 sposava le tecniche di produzione di massa con un interesse per le forme ispirate alla natura.

Questi edifici furono costruiti nei primi del '900, per la maggior parte prima dell'entrata dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale. La presenza massiccia di edifici in stile Liberty, o Art Nouveau, suggerisce che nei primi anni del '900 ci sia stato un 'boom' edilizio in Sardegna, e -ho immaginato- una discreta crescita economica in quel periodo.

Questa ipotesi mi e' stata confermata da alcuni dati che ho potuto trovare online. Nei primi del '900 ci fu in Sardegna una crescita della produzione di formaggi, dell'allevamento, e dei prodotti agricoli. Per esempio, solo nella provincia di Cagliari i profitti dell'esportazione di prodotti animali nel 1912 oltrepassavano 12 milioni di lire, un notevole aumento rispetto ai 5 milioni di lire del 1904.







Lo sviluppo economico della Sardegna nei primi del '900 era sicuramente il frutto della crescente globalizzazione. In un'Europa che diventava maggiormente integrata economicamente, i produttori sardi trovavano finalmente mercati a cui accedere, e cominciavano a trarre i frutti della loro produzione.

Avvantaggiandosi di questa globalizzazione economica, i sardi di allora sposavano anche la globalizzazione culturale, adottando uno stile 'globale' come l'Art Nouveau. Che il benessere creato si traducesse in edifici in stile "moderno" dimostra, ancora una volta, quanto sia falso il luogo comune dei sardi legati alle tradizioni arcaiche e incapaci di abbracciare la modernità: i sardi che raccoglievano i frutti di questa crescita economica volevano essere moderni europei.

E' interessante anche notare che nonostante il carattere globalizzato dell'Art Nouveau, questo stile venisse declinato in modi che rileggevano e re-interpretavano tradizioni locali. Per esempio, a Barcellona l'Art Nouveau era stata tradotta da artisti come Gaudi' in un'architettura che riprendeva elementi tradizionali catalani (per es. richiami al gotico catalano). In una certa misura questo accadeva anche in Sardegna: per esempio, immagino che gli elementi floreali dell'Art Nouveau in Sardegna traevano anche ispirazione dal gusto per la decorazione floreale che e' evidenziata negli abiti sardi tradizionali. E un grande pittore come Giuseppe Biasi faceva opere moderne attingendo alle tradizioni sarde.

Insomma, i sardi di allora traevano i frutti della crescente globalizzazione, e -siccome la globalizzazione non e'  un fenomeno a senso unico- adottavano e reinterpretavano la modernità in una chiave sarda. Le case Art Nouveau nei paesi sardi rappresentano per me la testimonianza di una Sardegna che sembrava andare sulla strada di diventare moderna, prospera, europea e sarda.

Purtroppo invece la storia prese una piega inaspettata: come sostiene lo storico Niall Ferguson, i ceti di ricchi proprietari terrieri e redditieri nei grandi paesi europei, coloro che erano maggiormente minacciati dalla crescente globalizzazione, contribuirono in modo importante nel spingere le grandi potenze alla guerra. Alla fine della guerra, ci fu il fiorire dei nazionalismi, e continui tentativi di arrestare la globalizzazione sia economica che culturale: barriere doganali, autarchia, e come risultato, stagnazione e crisi economica che colpi' la Sardegna quanto altre nazioni.

Mentre oggi diverse correnti vorrebbero arrestare o invertire la globalizzazione, continuo a pensare che un futuro di benessere e progresso per la Sardegna, come per altre nazioni, si potrebbe realizzare attraverso la globalizzazione.


Sicily and Sardinia, a story of two islands

Speaking with other non-Sardinian friends, sometimes I have to venture in explaining why the Mafia or similar infamous criminal organisations in the South of Italy had never emerged in Sardinia.

One of the explanations that I have managed to give is that Sardinia, although not poor by any standard, was never as rich of resources as countries like Sicily.

This key difference caused a huge divergence in the development of the two islands. In Sicily there were greater rewards to be ripped from controlling the resources of the land: families that could get access to these resources had greater incentives to safeguard their control over them, using violent and coercive methods when necessary. This control of the economic resources by few powerful families had to be guaranteed by exclusive political institutions, and the story of the Mafia is full of examples of Mafiosi fighting against attempts to create more inclusive and transparent institutions.

On the contrary, in Sardinia there were less incentives to gain absolute control of the resources of the land. Furthermore, for long periods of its history, Sardinia was controlled by far away authorities (the King of Aragon, the Emperor of Spain): once they gained control over the few profitable resources (e.g. mines and quarries), these rulers had little interest in gaining total control over the rest of the island economy. This granted Sardinians some degree of autonomy, and Sardinians developed more inclusive economic institutions (for example, villages in Sardinia used to share their land between villagers).

This inclusiveness has historically generated a work ethics that is quite different in comparison to that of other Mediterranean countries. Sardinians tend to value hard work and thriftiness.  This may help explain why sometimes I think about Sardinians as closet-protestants of the Mediterranean: the work ethics and the thriftiness of Sardinians often is embodied in austerity and sternness that are usually considered to be characteristics of the Presbyterian Europeans.

I believe that Sardinian history of inclusive economic institutions and the work ethics it generated could be translated into institutions that could help create prosperity for the people of Sardinia. The current economic and political institutions in Sardinia have been hijacked and have become exclusive and extractive, i.e. interested in extracting resources and income for a restricted group of people. However, the recession that has marred the whole of Italy and the increasing dearth of economic opportunities, particularly for young people, has contributed to generate increasing discontent and a desire for change and inclusive institutions.

Unfortunately, this discontent has been so far captured only by the populist Five-Star Movement, which, despite its lip-service to openness and inclusivity, does not seem to have a credible and serious agenda for creating liberal and inclusive economic institutions. On the other hand, the nationalist parties in Sardinia seem as yet unable to engage in a credible program of institutional reforms, and seem too preoccupied by identity politics (rather than bread-and-butter issues).

This is a pity: in the long run, the current extractive and exclusive economic and political institutions could eradicate the Sardinian work ethics and thriftiness, and eventually hamper any hope of a positive change for the future of Sardinia.


Un'alternativa per la scuola sarda

La scuola sarda e' in uno stato di crisi costante.  Si ripetono regolarmente gli allarmi per l'alto livello di abbandono scolastico, e il fatto che la percentuale di studenti sardi che ottengono titoli di studio secondari e oltre e' minore rispetto ad altre regioni dell'Italia. Per esempio, usando dati Eurostat aggiornati al 2012, il grafico che ho elaborato sotto mostra come il trend di abbandono scolastico e della formazione in Sardegna (la linea arancione) sia tra i piu' alti in Italia (la linea verde). Regioni nel sud d'Italia non fanno molto meglio della Sardegna: in tonalita' di grigio sono riportati i trend per tutte le altre regioni italiane, ma la Sardegna va molto peggio anche rispetto al trend generale in Europa (la linea rossa).


Non esistono, che io sappia, studi sistematici delle possibili ragioni di questo fenomeno. Mentre alcuni sostengono che una delle ragioni vada ricercata in una scuola che mira allo "sradicamento degli antichi codici culturali", ragioni piu' sostanziali potrebbero essere trovate nella cronica mancanza di risorse e investimenti nella scuola sarda.

Qualunque siano le cause di questo disastro (che si ripercuotera' inevitabilmente sul futuro delle nuove generazioni di cittadini sardi),  e' inutile pretendere di fare le stesse cose e sperare di ottenere risultati diversi.

Rifacendomi al mio post "sfasciamo lo stato", un'alternativa per la scuola sarda sarebbe dare piu' controllo e responsabilita' a livello locale: associazioni di genitori, comuni, e altri enti locali dovrebbero avere piu' liberta' nel gestire le scuole locali, anche in concorrenza con la scuola pubblica.


Penso ad un sistema che potrebbe prendere ispirazione dal sistema inglese dove assieme alle scuole pubbliche che seguono il programma nazionale, esistono altri tipi di scuole. Un tipo di scuole sono le Academies: scuole finanziate dallo stato, ma che hanno liberta' di decidere il proprio programma, e liberta' di stipulare propri contratti con gli insegnanti. Questo significa che le Academies hanno la possibilita' di pagare gli insegnanti in modo diverso rispetto alle scuole pubbliche, e di stipulare diversi termini di contratto (per es. diverse ore di lavoro). Un'altra differenza con le scuole pubbliche e' il fatto che, nonostante le Academies ricevano fondi pubblici, possono essere sponsorizzate da business, organizzazioni non-governative o caritatevoli, o altre organizzazioni.

La ragione che guida questo tipo di scuole e' quella di dare autonomia, ma -nello stesso tempo- responsabilita' agli educatori. Mentre lo stato fornisce i mezzi economici, i presidi e i consigli della scuola hanno liberta' di organizzare la scuola, dai programmi ai contratti con i docenti, assumendosi la responsabilita' di dover trovare soluzioni se la scuola non funzionasse.


Un sistema del genere in Sardegna si potrebbe articolare con un modello di partecipazione privata. In un contesto sardo, le scuole potrebbero essere gestite da cooperative private di giovani. Tutti i giovani che attualmente sono tagliati fuori dal sistema scolastico (causa la rarita' dei concorsi, ecc.), potrebbero trovare modo di lavorare in un settore scolastico parallelo a quello tradizionale statale. I genitori avrebbero possibilita' di scelta, e infatti, potrebbero loro stessi creare associazioni o cooperative per gestire una scuola in autonomia.

Per attuare un sistema del genere bisognerebbe non solo sfasciare lo stato, ma anche interessi corporativi che spesso bloccano ogni tipo di riforma e cambiamento. E bisognerebbe rivedere posizioni ideologiche. Per anni difendere il sacro principio della scuola pubblica non ha fatto che mantenere le condizioni di una scuola che e' sempre meno adeguata a rispondere alle esigenze di un paese complesso e in transizione.

Detesto i Clash (Apologia del Post-Punk)

Nel 1979 uscirono due album importanti:
London Calling dei Clash
Metal Box dei Public Image Ltd. guidati da John Lydon (ex Johnny Rotten dei Sex Pistols).

Il Punk era morto. Questi due album rappresentavano due modi diversi e opposti di intendere l'eredità del Punk.

Per i Clash il Punk era stato lo stimolo per un ritorno a "su connottu" (back to basics come dicevano loro): il rock (o punk-rock) inteso come musica per le masse, con tutte le caratteristiche annesse, ovvero un ritorno a forme e strutture semplici e immediatamente riconoscibili. A questo ritorno alle origini, si sposava un'immagine anti-sistema, testi vagamente impegnati, atteggiamenti "machisti", e un prendere terribilmente sul serio il proprio ruolo e la propria (ipotetica) importanza.

Dubito che questi atteggiamenti anti-sistema fossero davvero sinceri: in canzoni come "Complete Control" i Clash stigmatizzavano l'influenza delle case discografiche e dei loro modelli di business, ma -ah, l'ironia- lo facevano mentre producevano dischi per una grande casa discografica. E fa sorridere pensare a un gruppo che non esitava a corteggiare il pubblico e i media americani, ma cantava "I'm so bored with the USA".

Quando ero più giovane avevo ascoltato London Calling a ripetizione. Tutt'ora apprezzo canzoni  come "Spanish Bombs" e "Lost in the Supermarket".Ma quello che mi colpisce ora, riascoltando quest'album è quanto fosse musicalmente conservatore. A parte qualche felice episodio, il resto dell'album non faceva che tornare su vecchi schemi rock, triti e ritriti, appena appena "riammodernati" usando uno stile Punk. Canzoni come "Rudie can't fail" o "Wrong'em Boyo" suonano atroci a distanza di anni.

I Public Image Ltd. avevano un progetto completamente diverso. In particolare con il loro album Metal Box, i PIL volevano distruggere il rock. E lo facevano producendo una musica spigolosa, che usava certi elementi stilistici (per esempio linee di basso ispirate alla musica giamaicana) per riproporli in modo de-strutturato e shoccante. Era una musica senza compromessi, che non voleva essere piacevole, ma agitare e stordire. Un ottimo esempio è l'incredibile 'Chant', una "canzone" ispirata alla violenza negli stadi, e che rappresenta un'esperienza stordente e potente. Un altro ottimo esempio è 'Poptones': una canzone in cui John Lydon si immedesima nella vittima di uno stupro per descrivere in poche, lancinanti frasi una condizione di straniamento.

Metal Box sembrava l'equivalente della pittura espressionista, un'arte per provocare  e shoccare, mentre London Calling sembrava un quadro del realismo sovietico: un ritorno alla tradizione con l'intento di educare (e, in ultima analisi, manipolare) le masse.

I PIL rappresentavano del resto il meglio dello spirito del punk. Il punk non era stato tanto un movimento musicale, quanto un movimento concettuale. La musica punk, in se' e per se', non era stata cosi' innovativa: in molti casi si trattava di un ritorno al Rock n' Roll. Ma concettualmente, il punk aveva:
 (a) creato uno spirito iconoclasta e anarchico che ridicolizzava ogni pretesa autorità artistica e politica. Dopo il punk, per anni gli atteggiamenti messianici di certi 'giganti' dell'Olimpo del Rock (per es. Rod Stewart) erano diventati improponibili.
(b) introdotto un'etica del 'fai-da-te', un'etica di autonomia e indipendenza artistica in ogni aspetto della produzione culturale. Grazie anche ai progressi tecnologici (produrre dischi era diventato relativamente economico e facile), le band potevano produrre e distribuire i propri dischi, in questo modo mantenendo pieno controllo sul prodotto finale.

L'etica dell'autonomia aveva perciò aperto il campo a ogni tipo di musica e sperimentazione: a prescindere dalla bravura tecnica, e dal giudizio di critici e manager, chiunque avesse un'idea poteva produrla, trovando un pubblico e un mercato pronto ad ascoltare.

E infatti il periodo post-punk e' stato probabilmente uno dei periodi musicali migliori (molto meglio dei tanto decantati anni '60). Nel periodo post-punk ci fu un'esplosione di band e artisti che sperimentarono e crearono nuovi generi. Per citarne solo alcuni, dopo il '77 (l'anno del Punk), nacquero generi come il Gothic rock, il pop-elettronico, la re-invenzione dello Ska, e cosi' via. Simon Reynolds ha scritto un ottimo libro su questo periodo.

Infine, nello spirito iconoclasta e  anarchico del Punk, i gruppi post-punk avevano portato avanti una riflessione critica sui rapporti tra musica, arte, potere, capitalismo, e società, che era molto sofisticata e interessante. Per fare un esempio, i PIL avevano prodotto i vinili che comprendevano "Metal Box" in una scatola metallica: prendere i vinili dalla sua confezione metallica, inevitabilmente graffiava e rovinava il vinile. Non c'era atto più radicale di questo.

Per chi fosse interessato, ecco una playlist dei miei gruppi post-punk preferiti






Sfasciamo lo stato!

L'idea che abbiamo dello stato  è che dovrebbe dare assistenza e servizi ai cittadini. Diversi episodi negli ultimi tempi hanno dimostrato che anche stati ricchi nel mondo sono sempre meno capaci di svolgere questa funzione.
Per esempio, dopo il tragico incendio di Grenfell Tower a Londra, lo stato britannico e l'amministrazione comunale erano completamente assenti e incapaci di dare rifugio, pasti caldi, e supporto alle persone sfuggite alla catastrofe. Tutte queste cose erano state invece fatte da volontari e organizzazioni caritatevoli. A Austin, Texas, durante la recente alluvione i primi soccorsi non erano venuti dallo Stato o dall'Esercito, ma da cittadini che mettevano a disposizione i mezzi che avevano e cercavano di aiutare i propri vicini.

Sebbene non si possa generalizzare da questi episodi, e' pero' importante ricordare che al successo di una nazione o uno stato contribuisce il fatto di avere una sana società civile. Associazioni e organizzazioni di cittadini sono fondamentali. E lo sono perché possono riconoscere problemi e bisogni nel territorio, e coordinarsi per risolverli in modo immediato, pratico, e rispondente alle necessita' dei cittadini stessi. Parafrasando Alexis de Tocqueville, il modo più pratico per cambiare qualcosa non e' che i cittadini cerchino l'intervento del governo, ma,spesso, e' associarsi e coordinarsi per risolvere  il problema.

Come cittadini, ci aspettiamo anche che lo Stato difenda i diritti dei cittadini stessi e promuova il loro benessere collettivo. Altri esempi mostrano che purtroppo stati democratici possono tradire queste aspettative e, invece, favorire gli interessi di gruppi di persone o elites che cercano di ricavare una rendita da una posizione di privilegio.
Un esempio fatto da un economista qui,  mostra che gli Stati Uniti spendono circa il 18% del Prodotto Interno Lordo (PIL) nelle cure sanitarie: tuttavia, il servizio sanitario degli Stati Uniti ha prestazioni molto peggiori rispetto ad altri paesi dall'economia evoluta che spendono molto meno: per esempio, Francia e Germania spendono solo il 12% del PIL,ma l'aspettativa di vita e' molto più alta, come mostra il grafico qua sotto (estratto da gapminder: la grandezza dei cerchi rappresenta la percentuale di PIL speso per la sanità). 


Il problema negli Stati Uniti e' che lo Stato difende gli interessi di gruppi che vogliono trarre profitto dalla loro posizione di privilegio. I gruppi di case farmaceutiche riescono a usare il loro potere di lobbying per influenzare decisioni favorevoli ai propri interessi. Questo non e' solo nocivo per gli interessi dei cittadini, che ricevono un sistema sanitario inefficiente. Alla lunga, questo sistema e' anche negativo perché riduce le possibilità di innovazione: le case farmaceutiche che hanno un monopolio sul mercato, hanno meno incentivi nell'innovare e creare nuovi prodotti; nello stesso tempo, un monopolio mantenuto con la connivenza dello stato, preclude ad altri soggetti di piazzare prodotti innovativi sul mercato. Alla fine, il risultato e' inefficienza, stagnazione tecnologica, e -inevitabilmente- stagnazione economica

Ci aspettiamo che lo stato fornisca il terreno per dare opportunità a tutti i cittadini per contribuire, con il loro talento, inclinazioni, e ingegno, al bene collettivo. L'esempio del sistema sanitario negli USA dimostra che uno stato forte può invece favorire gli interessi di elites, che hanno tutto l'interesse a mantenere la propria posizione di rendita e di vantaggio, a danno di chi invece cerca di creare ricchezza.  
Per questi motivi, non penso che uno stato sardo forte, centralizzato, e nelle mani di una elite, possa essere una garanzia di prosperità o benessere per la Sardegna. Il problema della Sardegna, e la radice della sua stagnazione, non e' solo nell'essere subalterni allo stato italiano, ma sta nel fatto che non esistono in Sardegna istituzioni politiche ed economiche inclusive, ovvero che siano aperte all'iniziativa di tutti i cittadini che hanno il talento, l'ingegno, e l'iniziativa. Basta pensare, per esempio, come la burocrazia, la quale avrebbe -in teoria- il compito di garantire trasparenza, in Sardegna (come in Italia) sia diventata solo un mezzo per estrarre rendita da ogni iniziativa economica dei cittadini. 

L'alternativa può essere uno stato che dia i mezzi ai cittadini di organizzare le proprie istituzioni per rispondere alle necessita' ed esigenze della comunità. Esistono diversi esempi di cittadini che si sono organizzati con successo per creare istituzioni pluraliste. Durante la Guerra Civile Spagnola, per esempio, la Catalogna era stata governata con successo seguendo principi anarchici di organizzazione collettiva, prima che questo esperimento fosse represso violentemente dal fronte comunista. O, per esempio, quando nella Repubblica d'Irlanda le banche chiusero per 6 mesi per sciopero, i cittadini riuscirono ad organizzare un sistema alternativo di valuta

Come ricordano i Laibach, lo Stato, con il suo 'monopolio sulla violenza legittima', non e' sempre garanzia di benessere, prosperità, e opportunità, che sia italiano, o sardo.