Visionari, visioni e storia. Da Londra alla Sardegna

  Belfast, Northern Ireland, 1st of August 2012

La cerimonia inaugurale delle olimpiadi di Londra ha probabilmente sorpreso e confuso alcuni. La prima considerazione che si potrebbe fare è che un regista di origine irlandese e non esattamente conformista, Danny Boyle, è stato chiamato a organizzare una cerimonia usata in genere per esaltare la storia e il patrimonio culturale di una nazione. Non solo, Danny Boyle è stato lasciato libero da interferenze politiche, dando una visione personale di ciò che è giusto esaltare nella storia delle nazioni del Regno Unito.

Non a tutti questa libertà concessa all’artista è piaciuta: alcuni membri del partito conservatore hanno lamentato che la visione della storia del Regno Unito proposta da Boyle era troppo “di sinistra” e qualcuno si è lamentato che la cerimonia non era altro che un costoso spot elettorale per il partito Laburista.

Quest’ultima frase illustra qual è il fulcro della questione: ovvero, il senso che si vuole dare ad essere nazione, quali sono gli elementi che si vogliono esaltare, elementi cardine per identificarsi con una storia e una serie di valori condivisi. Come dicevo in un altro post, ogni cultura è complessa e stratificata, e spesso contiene elementi diversi e a volte in contrasto tra di loro

La polemica sulla cerimonia inaugurale dimostra questa complessità e stratificazione nel caso del Regno Unito. I conservatori privilegiano una interpretazione che vede il Regno Unito come portatore di civiltà nei quattro angoli del mondo attraverso la costruzioni di un impero che, nonostante alcuni eccessi, sostanzialmente arricchiva le popolazioni “indigene” attraverso il trasferimento di competenze tecnologiche e di istituzioni democratiche (vedi le posizioni di alcuni storici revisionisti).

I conservatori poi tendono a enfatizzare, con qualche maggiore fondamento, il ruolo che le élite hanno svolto sia nel difendere i principi di libertà individuale, per esempio contro le aspirazioni assolutiste dei monarchi, sia nel creare imprese che hanno prodotto ricchezza e progresso tecnologico durante la rivoluzione industriale (nonostante questa ricchezza fosse stata a lungo appannaggio dei pochi, in contrasto ai molti che facevano parte della working class).

Tuttavia, una visione differente mette in risalto altri aspetti della storia di nazioni quali Inghilterra, Scozia, Galles, e senza scordare che la storia d’Irlanda è legata strettamente a quella del Regno Unito.

In contrasto alla narrazione conservatrice che esalta esclusivamente il ruolo delle élite, Danny Boyle ha messo in risalto il ruolo che la generale tradizione di “dissenso” ha avuto nel fare del Regno Unito un paese inclusivo e tollerante, e un paese culturalmente vivace. La tradizione del dissenso era rappresentata nella cerimonia dai richiami al movimento delle suffragette, un movimento popolare che reclamava il diritto al voto per le donne.
Ma quello delle suffragette non era che uno dei tanti movimenti popolari e partecipativi (ma non di massa) che nel Regno Unito si organizzavano dal basso per difendere diritti che ora consideriamo inalienabili. Pensiamo al movimento cartista e altri movimenti e correnti di pensiero (incluso il “non-conformismo” delle confessioni protestanti che rifiutano le autorità ecclesiastiche).
Diversi storici recentemente hanno messo in evidenza che se il Regno Unito è un insieme di nazioni inclusive, tolleranti e meritocratiche, lo si deve molto a movimenti libertari, progressisti o radicali, organizzati dal basso per ottenere diritti per tutta la cittadinanza.
E l’inclusività è un altro degli aspetti che Danny Boyle ha voluto esaltare durante l’inaugurazione delle olimpiadi. A un certo punto, si potevano vedere una serie di persone (la maggior parte di colore) che venivano da una nave con i bagagli in mano: un accenno alle migliaia di persone di origini afro-caraibica, indiana e pakistana che nel dopoguerra si trasferirono e iniziarono una nuova vita nel Regno Unito. Ora queste persone e le loro culture sono parte integrante del tessuto socio-culturale delle nazioni del Regno Unito.

In questo filone che ristabilisce l’importanza nei movimenti partecipativi nel creare un paese più giusto e più inclusivo, Danny Boyle non poteva non esaltare una delle istituzioni che rappresenta l’apice delle aspirazioni di molti movimenti libertari o progressisti che si sono succeduti nel Regno Unito: il servizio sanitario nazionale.
L’esaltazione di questa istituzione è molto significativa, perché come spiegavo in questa trasmissione radio (4a puntata), il sistema di assicurazione sociale universale è il lascito della vittoria del Regno Unito nella 2a guerra mondiale; è ciò per cui i cittadini delle nazioni del Regno Unito in fondo avevano sofferto e combattuto. Il risultato più importante della guerra non fu qualche conquista territoriale, ma fu la difesa della democrazia e un sistema di assicurazione sociale che garantiva un tenore di vita decente a tutta la cittadinanza.


Ma se nel Regno Unito esistono almeno due narrative riguardo il senso di essere un paese, in Sardegna purtroppo ancora vediamo una sola narrativa imperante. Uno dei problemi e’ che siamo stati noi sardi a non saperci raccontare la nostra storia, a lasciare che altri ce la raccontassero e ci raccontassero.
Per questo penso sia importante riappropriarci della nostra storia.

Ma nel farlo, è anche importante non rifare gli errori di altri paesi. Per questo dissento con chi parla di una primaria necessità di una nuova classe dirigente in Sardegna, come se da nuove élite seguisse tutto il resto.
Il concetto di “classe dirigente” è del resto un concetto molto italiano, sintomo del fatto che l’Italia in quanto nazione è solo un insieme di interessi di alcuni gruppi chiusi : dietro le élite non c’è niente che tenga unito questo paese se non la retorica, e infatti possiamo dire che l’Italia rimane solo “una espressione geografica”.


Non sono le élite da sole che fanno una nazione, e non sono soprattutto le élite da sole che fanno una nazione giusta, coesa ed equa.
Nella storia sarda, abbiamo diversi esempi di movimenti partecipati che hanno cercato di reclamare istituzioni più giuste, eque e che lavorassero nell’interesse generale della cittadinanza sarda. Pensiamo alla partecipazione popolare alla Sarda Rivoluzione, con il popolo cagliaritano spesso coinvolto direttamente nelle riunioni dei parlamenti sardi. O pensiamo al primo sardismo, o ancora all’esperienza de “Su Populu Sardu”. E non è un caso che furono proprio le élite sarde a fermare lo slancio di questi movimenti partecipati: basti considerare per esempio come la “classe dirigente” sardista (i Bellieni e i Lussu) smorzarono ogni radicalismo e progetto indipendentista della base del Partito Sardo d’Azione di allora.

Ma come dimostra la storia delle nazioni del Regno Unito, è fondamentale per creare una nazione giusta e inclusiva il ruolo che i movimenti partecipativi hanno nell’avanzare politiche nell’interesse generale, e nel creare politiche che abbiano autorevolezza non perché nascono dalle migliori menti delle élite, ma perché provengono da una elaborazione allargata.

Insomma, forse la Sardegna, pur con tutto ciò che la differenzia e la contraddistingue, potrebbe guardare a questo arcipelago di isole, la Gran Bretagna, e prendere alcuni spunti per cercare di realizzare in terra quell’ideale di giustizia e pace espresso dai bellissimi versi di William Blake che hanno aperto la cerimonia di inaugurazione delle olimpiadi:
I will not cease from Mental Fight;
nor shall my Sword sleep in my hand;
till we have built Jerusalem
in Englands green & pleasant Land

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