Il capitalismo oggi non gode di buona pubblicità. Parte di questa cattiva fama è del tutto meritata.
Negli ultimi decenni si è assistito ad un accumulo di ricchezza e opportunità nelle mani di pochi, tanto che si parla di una società ristretta e sigillata.
A fronte di questo aumento di ricchezza per i pochi eletti, in
Occidente si è assistito ad un lento ma inesorabile declino delle
condizioni economiche e delle prospettive future di molti, tanto che
alcuni hanno definito questa l'epoca delle "prospettive ridotte".
Tuttavia,
leggendo diversi autori mi sono fatto l'idea che questo processo non
sia necessariamente un tratto distintivo del capitalismo per sè, quanto un tratto del capitalismo neo-liberista che si è affermato dagli anni '80 in poi.
Cosa non funziona nel capitalismo neoliberista?
Un
tratto distintivo di questa forma di capitalismo è la flessibilità dei
mercati finanziari unita al potere spropositato degli azionisti nelle
imprese o nelle aziende. Le due cose sono collegate ma creano un
meccanismo perverso. Come? Gli azionisti comprano le azioni di una
azienda e ottengono un potere in genere pari al loro pacchetto di
azioni. Tuttavia in molte aziende gli azionisti detengono una
maggioranza di azioni rispetto agli "stakeholders". Gli stakeholders
sono coloro che hanno un interesse diretto nell'azienda: o ci lavorano
(gli impiegati), o sono i direttori e i manager, o sono fornitori
dell'azienda. Il benessere degli stakeholders dipende dall'azienda: senza l'azienda gli stakeholders
non avrebbero lavoro o salario. Gli azionisti, al contrario, sono solo
preoccupati di estrarre il maggior profitto possibile dalle azioni che
hanno comprato: in un mercato finanziario estremamente fluido, gli
azionisti possono rivendere le loro azioni in pochi minuti e "scrollarsi
di dosso" l'azienda in fretta.
Dunque gli stakeholders
dovrebbero avere particolarmente a cuore l'azienda da cui dipende la loro occupazione, e quindi il loro scopo è che l'azienda abbia successo nel lungo termine. Gli azionisti, invece, hanno l'obiettivo di massimizzare il profitto delle loro
azioni in tempi brevi. Nonostante queste diverse prospettive, gli
azionisti hanno un maggiore potere nel prendere decisioni cruciali per
il futuro di molte aziende.
Questo significa che in molte aziende
ogni investimento fatto per il lungo termine sia visto come un costo
inutile da chi è interessato a fare un profitto veloce. E infatti molte
aziende (per es. le case automobilistiche americane) per lunghi periodi
hanno smesso completamente di fare investimenti per il futuro. Nessun
investimento in ricerca e nuove tecnologie, per esempio. Nessun
investimento nella formazione e qualificazione della forza lavoro. Siccome gli azionisti
pensano ad un profitto veloce, si spende preferibilmente in
marketing e altre attività del genere che servono a "gonfiare" la
visibilità di un'azienda, facendo alzare le sue quotazioni in borsa, e
favorendo gli azionisti.
Visto che chi detiene il potere degli
investimenti sta pensando al breve termine invece che al futuro, non
sorprende poi tanto che si senta spesso parlare di un'epoca di
stagnazione tecnologica e della conoscenza. Quando i migliori cervelli
in circolazione vengono catturati da Google e spendono il loro tempo a
inventare metodi per convincere un utente a cliccare su un banner pubblicitario, è chiaro che c'è un grosso problema.
Tutto
questo vuol dire che il capitalismo non funziona? Prima di buttare via
tutto e magari abbracciare vaghi e fantasiosi ritorni ad un passato
bucolico mai esistito, ci penserei un paio di volte.
Infatti, il
capitalismo non è sempre stato il capitalismo neoliberista attuale. Nel
periodo del dopoguerra, almeno in occidente, il capitalismo aveva
contribuito ad una enorme diffusione di ricchezza e opportunità che furono
molto più equamente condivise dai diversi strati delle società. Oppure,
il capitalismo realizzato nei paesi scandinavi riesce a unire la spinta
al profitto e la tutela della proprietà privata con un sistema che
ridistribuisce la ricchezza generata in modo molto equo e offre
opportunità universalmente. E ancora, il recente emergere di nuovi poli economici, è probabilmente in parte responsabile per la riduzione della povertà estrema nel mondo.
Come sostengono alcuni autori, la proprietà privata dei mezzi di
produzione e l'incentivo al profitto - i cardini del capitalismo-
possono essere usati con successo ed efficacemente per creare prosperità
e opportunità per i più, non solo per i pochi.
Il capitalismo può perciò essere usato per creare ricchezza, innovazione e opportunità diffuse se solo si approntano i giusti strumenti politici per far lavorare il capitalismo per l'interesse generale.
Uno di questi strumenti politici potrebbe consistere nel limitare il potere
degli azionisti in molte aziende. Per esempio, in Svezia certi pacchetti di azioni in una azienda detengano un peso maggiore nelle decisioni, assicurando in questo modo che i fondatori di
molte aziende e i loro eredi, detentori di questi pacchetti, mantengano maggiore potere decisionale. Oppure, in Germania
rappresentanti dei dipendenti partecipano e
hanno potere di voto nelle decisioni che riguardano molte aziende. Queste misure politiche potrebbero garantire investimenti in innovazione e formazione,
creando lavoratori competenti difficilmente rimpiazzabili da lavoratori
a basso costo in altri paesi, e creando innovazione
tecnologica che, tra le altre cose, permetterebbe il superamento di
tecnologie inquinanti.
Il capitalismo del resto ha permesso un
acceleramento del progresso tecnologico e della qualità di vita enorme
negli ultimi secoli. Cercherei perciò di far ri-funzionare il
capitalismo prima di pensare di poterne fare a meno. Parafrasando Joseph
Stiglitz che parlava di John Maynard Keynes, magari bisogna "salvare il capitalismo dai capitalisti".
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